Mercoledì 21 agosto,
ore 14:47,
sono al campo base Moskvina, sdraiato nella tenda che condivido con
il mio amico Loscia. La vista dall’apertura posteriore della tenda aperta per
metà e attraverso gli indumenti piumati appesi a prendere aria, abbraccia il
laghetto circondato di verde che caratterizza questo campo base e la morena con
le prime propaggini del ghiacciaio del Pic Communism. Dietro di me, fuori dalla
tenda, Loscia parla in russo con un ragazzo con cui ieri siamo scesi dalla
montagna e mangiano pistacchi. Riconosco solo alcune parole come: “ Pobeda,
Makalu, Manaslu, Communism”… . Le nuvole coprono il sole che però ogni tanto fa
capolino riscaldando la tenda e c’è un vento leggero. Io dal canto mio sono
infilato dentro il sacco a pelo e mi riscaldo le dita dei piedi malandate: un
leggero congelamento mi provoca fastidio ai due ditoni e, meno, alle dita
circostanti. Invece le dita delle mie mani sono abbronzate e recano alcune
ferite leggere provocate dai litigi con le lamine degli sci e con i ganci degli
scarponi. Tutti segni che mi ricordano di avere trascorso due mesi intensi di
alpinismo, di fatica, di sole accecante, di ghiaccio, di roccia e di neve,
vento, freddo intenso, pericoli, delusioni ma anche momenti di grande gioia e
felicità. Ora una generale stanchezza si è impadronita di me provocandomi un
leggero intontimento. Ora posso rilassarmi, non pensare più alla prossima vetta
o a cercare di riposare il più possibile per recuperare le forze che tra due
giorni si parte di nuovo per una nuova montagna, una nuova via con nuove
insidie e sfide. Due alpinisti in lontanaza, oltre il lago stanno tornando con
passo incerto al campo base: questi erano gli ultimi giorni possibili per un
tentativo di scalata al pic Communism, così tutti quelli interessati sono
partiti in massa all’attacco della montagna. Più di quaranta persone sono
partite nell’arco di due giorni, concentrandosi in fila indiana e lentamente ad
aprire la via verso l’alto che era straordinariamente carica di neve. Noi,
Loscia ed io, siamo partiti con due giorni di ritardo rispetto agli apritori
della via perché avevamo appena scalato il pic Korjenvskaya e avevamo bisogno
di recuperare. Comunque in due giorni abbiamo saltato due campi e, anche noi
aprendo traccia già scomparsa a causa delle nevicate e del vento, raggiuto la
testa del gruppo. L’altro ieri abbiamo piazzato la nostra tendina su una
piazzola di neve ricavata di misura in mezzo ad altre due tende a 6700 mt. Il
punto più alto raggiunto quest’anno. Quel giorno siamo partiti da un’altezza di
5900 mt, alla base del pic Dushanbe e ci siamo diretti verso l’alto quasi alla
cieca a causa della nebbia che riduceva a zero la visibilità e della neve che
durante la notte aveva coperto completamente la traccia. Siamo comunque
riusciti a raggiungere il campo alto e a piazzare le tenda. La perturbazione
però ha continuato tutta la notte e la mattina ancora continuava. Anche le
previsioni che avevano i nostri vicini di tenda non lasciavano tante speranze
per i giorni a venire. Inoltre il metro di neve già caduto fino a quel momento
rendeva la via verso la cima molto pericolosa, e anche quella del ritorno. Abbiamo
così deciso di aspettare l’indomani, piazzare la sveglia alle 03:30 e a
quell’ora mettere la testa fuori dalla tenda: se ci fossero state le stelle e
la luna, ci saremmo preparati e da lì partiti per la cima del pic Communism. Ma
alle 03:30 la neve continuava a cadere, così ci siamo girati dall’altra parte e
io, raggomitolato nel caldo del mio sacco a pelo ho dato un calcio alla sorte e
ho continuato a sognare fino alle 06:00 quando, dopo un breve consulto in russo
con i nostri vicini, abbiamo deciso di scendere e di partire alle 09:00. Così
ieri sera alle 21:00, dopo una lunga giornata fatta di dodici ore di cammino,
di nebbia e di sole e di tanta neve fresca, siamo arrivati al campo base
direttamente dai 6700 metri dell’ultimo campo. Le ultime due ore sono state una
bella passeggiata sulla morena al chiarore della luna.
Ieri è terminato lo Snowleopard Ski Projekt e oggi mi trovo
ad essere in quello stato in cui si è coscienti di questo fatto ma
inconsciamente non se ne vuole ancora prenderne atto. E’ come se fossi ancora
in corsa: sono qui al campo base, parlo con altri alpinisti, mangio e bevo
montagna a 4400 mt e lo farò ancora per tre giorni. Non voglio credere che sia
tutto finito e che non sia riuscito ad arrivare in cima a due montagne su
cinque. Ne parlavamo giusto ieri io e Loscia: siamo arrivati così vicini alla
cima anche di queste due… e siamo coscienti del fatto che, se le condizioni
meteo ci fossero state favorevoli, saremmo arrivati in cima anche a queste due.
Ma questo progetto era così: avevamo il tempo solo per un tentativo per
montagna e direi che ci siamo comportati egregiamente. Potevamo rischiare sul
Pobeda e rimanere bloccati a 7000 mt per quattro giorni nella tempesta, e anche
qui sul Communism saremmo potuti rimanere a 6700 mt ancora per due giorni e
aspettare, siamo acclimatati e il nostro fisico avrebbe potuto reggere e
magari, prendendoci i nostri rischi per le valanghe, saremmo potuti andare in
cima, ma la meteo, ora ha ricominciato a nevicare, e una grossa slavina che si
è appena staccata di fianco alla via del Communism, ci sta dando ragione. C’è
una linea sottile tra l’assumersi dei rischi per raggiungere una cima e l’assumersene
di eccessivi rischiando eccessivamente la vita. E’ vero, magari questa volta ci
sarebbe andata bene, ma la prossima no. Io voglio tornare su queste montagne e
scalarne anche di nuove, vedere posti nuovi, conoscere gente nuova, salire e
scendere con e senza sci. Rinunciare al Pobeda e al Communism quest’anno mi è
costata molta fatica, ma sono convinto di avere fatto la scelta giusta. Però
cavolo! Eravamo ad un passo dal farle tutte e cinque… .
Adesso è ancora presto per tirare le somme e parlare di
tutte le esperienze fatte in questi due mesi, per adesso posso solo raccontare
le sensazioni e i sentimenti che provo e che sono un misto di stanchezza
profonda, quella stanchezza che senti nelle ossa e nella testa più che nei
muscoli, e di delusione per la non realizzazione completa del progetto; ma
anche ancora di eccitazione per tutte le intense esperienze vissute e la
convinzione di avere trovato un amico, un piccolo amico russo dalla grande
forza di volontà con cui, sono quasi sicuro, mi ritroverò per nuove montagne e
avventure. Lo Snowleopard Ski Projekt comunque non è stato un fallimento. Non
sono arrivato in cima a tutte e cinque le montagne, ma ne ho scalate tre in
modo egregio: del pic Lenin ho disceso la parete nord con gli sci, sul Khan
tengri siamo stati i primi della stagione ad arrivare in cima, il Korjenewskaja
lo abbiamo scalato a tempo di record, e sul Pobeda, da soli, siamo arrivati ad
un passo dalla cima. Anche il pic Communism quest’anno rimarrà inviolato: tutta
la gente sulla montagna ha rinunciato lo stesso nostro giorno e sta tornando
alla spicciolata al campo base. Reputo comunque di avere offerto una buona
prestazione alpinistica e conto, nei prossimi anni, di portare a termine il
progetto e di diventare uno “Snowleopard” come dicono da questa parti.
cheers
Cala
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