martedì 3 settembre 2013

citazioni da "il lupo della steppa" hermann hesse


“Infatti se il mondo ha ragione, se hanno ragione le musiche nei caffè, i divertimenti in massa, la gente americana che si contenta di così poco, vuol dire che ho torto io, che sono io il pazzo, il vero lupo della steppa, come mi chiamai più volte, l’animale sperduto in un mondo a lui estraneo e incomprensibile, che non trova più la patria, l’aria, il nutrimento.”


“C’era una volta un tale di nome Harry, detto il “lupo della steppa”. Camminava con due gambe, portava abiti ed era un uomo, ma, a rigore, era un lupo. Aveva imparato parecchio di quel che possono imparare gli uomini dotati d’intelligenza, ed era uomo piuttosto savio. Ma una cosa non aveva imparato: ad essere contento di sé e della sua vita. Non ci riusciva, era un uomo scontento. Ciò dipendeva probabilmente dal fatto che in fondo al cuore sapeva (o credeva di sapere) di non essere veramente un uomo, ma un lupo venuto dalla steppa.”


“Per esempio quando Harry uomo concepiva un bel pensiero, provava un sentimento nobile e fine o faceva una così detta buona azione, il lupo che aveva dentro digrignava i denti e sghignazzava, e gli mostrava con sanguinoso sarcasmo quanto era ridicola quella nobile teatralità sul muso d’un animale della steppa, di un lupo che sapeva benissimo quali fossero i suoi piaceri, trottare cioè solitario attraverso le steppe, empirsi ogni tanto di sangue o dar la caccia a una lupa… e, considerata dal punto di vista del lupo, ogni azione umana diventava orribilmente buffa e imbarazzante, sciocca e vana.”


“Esistono non pochi uomini simili ad Harry; specialmente molti artisti appartengono a questa categoria. Costoro hanno in sé due anime, due nature, hanno un lato divino e un lato diabolico, il sangue materno e il sangue paterno, e le loro capacità di godere e di soffrire sono così intrecciate, ostili e confuse tra loro come in Harry il upo e l’uomo. E questi uomini la cui vita è molto irrequieta hanno talvolta nei rari momenti di felicità sentimenti così profondi e indicibilmente belli, la schiuma della beatitudine momentanea spruzza così alta e abbagliante sopra il mare del loro dolore, che quel breve baleno di felicità si irradia anche su altri e li affascina. Così nascono, preziosa e fugace schiuma schiuma di felicità sopra il mare della sofferenza, tutte le opere d’arte nelle quali un uomo che soffre si inalza per un momento tanto al di sopra del proprio destino che la sua felicità brilla come un astro e appare per chi la vede come una cosa eterna, come il suo proprio sogno di felicità. Tutti questi uomini, qualunque siano le loro gesta e le loro opere, non hanno veramente alcuna vita, vale a dire la loro vita non è un’esistenza, non ha una forma, essi non sono eroi o artisti o pensatori come altri possono essere giudici, medici, calzolai o maestri, ma la loro vita è un moto eterno, una mareggiata penosa, è disgraziatamente e dolorosamente straziata, paurosa o insensata, quando non si voglia trovarne il significato proprio in quei rari avvenimenti e fatti, pensieri e opere che balzano luminosi sopra il caos di una simile vita.”


“Per questo aveva tanto bisogno di solitudine e d’indipendenza. Nessuno ha mai avuto un bisogno più profondo e più appassionato di essere indipendente. … . Non si è mai venduto per denaro o benessere, non si è mai dato alle donne o ai potenti, e mille volte ha buttato via e rifiutato quello che secondo tutti sarebbe stato il suo bene e il suo vantaggio, pur di conservare in compenso la libertà. Nessun’idea gli era più odiosa e ripugnante che quella di avere un impiego, osservare un orario, obbedire agli altri. Odiava gli uffici e le cancellerie come la morte, e la cosa più orrenda che gli potesse capitare in sogno era la prigionia in una caserma. A tutte queste sciagure seppe sottrarsi spesso e con grandi sacrifici. In ciò consistevano la sua forza e la sua virtù, qui era inflessibile e incorruttibile e il suo carattere era saldo e rettilineo. Ma con questa virtù erano anche strettamente collegate le sue sofferenze e la sua sorte.
La meta egli raggiunse e divenne sempre più indipendente, nessuno gli comandava, non era costretto a seguire nessuno e decideva liberamente delle sue azioni e omissioni. Ogni uomo forte infatti raggiunge immancabilmente ciò che il suo vero istinto gli ordina di volere. Ma raggiunta la libertà Harry si accorse a un tratto che la sua libertà era morte, che era solo, che il mondo lo lasciava paurosamente in pace, che gli uomini non lo riguardavano più né lui riguardava sé stesso, che soffocava lentamente in un’aria sempre più rarefatta senza relazioni e senza compagnia. … tutti lo lasciavano solo. Non che fosse odioso o antipatico alla gente. Al contrario, aveva moltissimi amici. Molti gli volevano bene. Ma quella che incontrava era solamente simpatia amichevole; lo invitavano, gli facevano regali, gli scrivevano lettere garbate, ma nessuno gli si accostava, nessuno si legava a lui, nessuno aveva la voglia o la capacità di condividere la sua vita.”


“i lupi della steppa che sono senza pace, che soffrono continuamente e terribilmente, che non hanno lo slancio necessario per arrivare alla tragedia, per penetrare nello spazio astrale, che sentono la vocazione dell’assoluto eppure non vi possono vivere:quando il loro spirito si è fatto abbastanza forte ed elastico nella sofferenza, trovano la confortante via d’uscita dell’umorismo.

“Harry trova dentro di sé un <uomo> , cioè un mondo di pensieri, di sentimenti, di cultura, di natura addomesticata e sublimata, e trova in sé anche un lupo, cioè un mondo buio di istinti selvaggi, di crudeltà, di natura rozza e non sublimata.”


“La via per giungere all’uomo vero, agl’immortali, Harry può benissimo intuirla, la percorre anche per qualche brevissimo tratto, con esitazione, e paga questo percorso con gravi dolori, con penoso isolamento. Ma di quel postulato supremo che impone di aspirare a diventare uomo secondo lo spirito, di percorrere l’unica stretta via dell’immortalità, egli ha paura in fondo all’anima. Capisce che arriverebbe a dolori ancor maggiori, alla proscrizione, all’ultima rinuncia, forse al patibolo… e quantunque in fondo a questa via appaia la lusinga dell’immortalità, tuttavia egli non ha voglia di patire tutte queste pene, di morire tutte queste morti.”


“Invece di restringere il tuo mondo, di semplificare la tua anima, dovrai accogliere più mondo e alla fine il mondo intero nella tua anima dolorosamente ampliata per poter giungere forse un giorno alla fine, al riposo. Questa via fu percorsa da Buddha, da ogni uomo grande, da questo consapevolmente, dall’altro inconsciamente, secondo che gli riusciva l’ardita impresa. Ogni nascita è separazione dal tutto, è limitazione, distacco da Dio, nuovo doloroso divenire. Il ritorno al tutto, l’annullamento della dolorosa individuazione,il divenir Dio significa aver allargato talmente la propria anima da poter riabbracciare l’universo.”


“Ora prendiamo commiato da Harry e lo lasciamo andare per la sua strada. Se fosse già presso gl’immortali, dove dovrebbe portarlo il suo difficile cammino, come assisterebbe meravigliato a questo andirivieni, allo zig zag irresoluto e folle della sua strada, come sorriderebbe divertito e pietoso, con aria di rimprovero e d’incoraggiamento, al lupo della steppa!”

DA ALMA ATA


03/09/13 
ore 3:44  in un parcheggio sulla collina Kok Tobe – Alma Ata

ciao a tutti,
il progetto Snowleopard è finito da nove giorni, da quando con l’elicottero sono tornato nella civiltà a Djirghital in Tagikistan. In questo momento sto vivendo la fase tre di questo mio viaggio, quella del ritorno e più precisamente io e il mio socio Alberto stiamo cercando di ottenere il visto della Russia per tornare in Italia con Ringo, il mio furgone, attraverso Russia, Georgia, Turchia e Grecia. In questo momento siamo ad Alma Ata, in Kazakstan dove domani apre l’ufficio visti del consolato russo e sapremo come fare domanda e quanto dovremo aspettare.
Indaffarato a risolvere questi problemi e ad organizzare il tragitto del rientro, ma comunque anche intento ad assaporare e fare miei i paesaggi, le città e le esperienze già iniziate di questo mio viaggio di ritorno, ho riposto i due mesi di Snowleopard in un angolo. Come quando fai un trasloco e riempi dei grossi scatoloni pieni di roba, poi nella nuova casa incominci a spacchettare, inizi dalle cose necessarie, non dalle più importanti, cose come pentole, posate ecc. Alcuni scatoloni magari rimangono lì impacchettati per settimane, mesi, magari anche anni. Conosco un tale che ha traslocato a Milano da più di un anno e molti scatoloni non li ha ancora sistemati J. Questi scatoloni messi lì negli angoli, in posti che non intralciano il passaggio, possono anche contenere cose molto importanti come i della tua giovinezza che hanno contribuito a farti diventare come sei adesso, oppure oggetti arrivati da viaggi lontani che ormai fanno parte di te. Così è nella mia memoria il progetto Snowleopard: un grosso baule pieno di esperienze, sensazioni, gioie e delusioni alpinistiche ma anche umane. L’ho riposto lì in un angolo della mia nuova casa, ogni tanto ci vado vicino e lo apro e ci tiro fuori qualche pezzo di ricordo e me lo riassaporo. Il gusto è ancora fresco, vivo, non ancora sedimentato e velato dal tempo, dalla critica, dalla mia coscienza. Per qualche tempo vogli tenerli così questi ricordi, grezzi. Godermeli nella loro ruvidezza, ogni tanto farne riaffiorare uno alla mente e provarne le forti emozioni e sensazioni di allora. Senza giudizio ancora, senza critica. Quella verrà col tempo.
Quindi mi dispiace, ma ancora niente bilancio del progetto, niente “tirare le somme”, ma ancora tante emozioni. Intanto se vi va mi piacerebbe intrattenervi con racconti di pezzi di progetto e foto a tratti, mischiate con aneddoti di questo mio viaggio di ritorno.
Saluti Cala









 A Djirghital, appena sceso dall'elicottero.

sabato 24 agosto 2013

Fine Snowleopard Ski Project

Mercoledì  21 agosto, ore 14:47, 
sono al campo base Moskvina, sdraiato nella tenda che condivido con il mio amico Loscia. La vista dall’apertura posteriore della tenda aperta per metà e attraverso gli indumenti piumati appesi a prendere aria, abbraccia il laghetto circondato di verde che caratterizza questo campo base e la morena con le prime propaggini del ghiacciaio del Pic Communism. Dietro di me, fuori dalla tenda, Loscia parla in russo con un ragazzo con cui ieri siamo scesi dalla montagna e mangiano pistacchi. Riconosco solo alcune parole come: “ Pobeda, Makalu, Manaslu, Communism”… . Le nuvole coprono il sole che però ogni tanto fa capolino riscaldando la tenda e c’è un vento leggero. Io dal canto mio sono infilato dentro il sacco a pelo e mi riscaldo le dita dei piedi malandate: un leggero congelamento mi provoca fastidio ai due ditoni e, meno, alle dita circostanti. Invece le dita delle mie mani sono abbronzate e recano alcune ferite leggere provocate dai litigi con le lamine degli sci e con i ganci degli scarponi. Tutti segni che mi ricordano di avere trascorso due mesi intensi di alpinismo, di fatica, di sole accecante, di ghiaccio, di roccia e di neve, vento, freddo intenso, pericoli, delusioni ma anche momenti di grande gioia e felicità. Ora una generale stanchezza si è impadronita di me provocandomi un leggero intontimento. Ora posso rilassarmi, non pensare più alla prossima vetta o a cercare di riposare il più possibile per recuperare le forze che tra due giorni si parte di nuovo per una nuova montagna, una nuova via con nuove insidie e sfide. Due alpinisti in lontanaza, oltre il lago stanno tornando con passo incerto al campo base: questi erano gli ultimi giorni possibili per un tentativo di scalata al pic Communism, così tutti quelli interessati sono partiti in massa all’attacco della montagna. Più di quaranta persone sono partite nell’arco di due giorni, concentrandosi in fila indiana e lentamente ad aprire la via verso l’alto che era straordinariamente carica di neve. Noi, Loscia ed io, siamo partiti con due giorni di ritardo rispetto agli apritori della via perché avevamo appena scalato il pic Korjenvskaya e avevamo bisogno di recuperare. Comunque in due giorni abbiamo saltato due campi e, anche noi aprendo traccia già scomparsa a causa delle nevicate e del vento, raggiuto la testa del gruppo. L’altro ieri abbiamo piazzato la nostra tendina su una piazzola di neve ricavata di misura in mezzo ad altre due tende a 6700 mt. Il punto più alto raggiunto quest’anno. Quel giorno siamo partiti da un’altezza di 5900 mt, alla base del pic Dushanbe e ci siamo diretti verso l’alto quasi alla cieca a causa della nebbia che riduceva a zero la visibilità e della neve che durante la notte aveva coperto completamente la traccia. Siamo comunque riusciti a raggiungere il campo alto e a piazzare le tenda. La perturbazione però ha continuato tutta la notte e la mattina ancora continuava. Anche le previsioni che avevano i nostri vicini di tenda non lasciavano tante speranze per i giorni a venire. Inoltre il metro di neve già caduto fino a quel momento rendeva la via verso la cima molto pericolosa, e anche quella del ritorno. Abbiamo così deciso di aspettare l’indomani, piazzare la sveglia alle 03:30 e a quell’ora mettere la testa fuori dalla tenda: se ci fossero state le stelle e la luna, ci saremmo preparati e da lì partiti per la cima del pic Communism. Ma alle 03:30 la neve continuava a cadere, così ci siamo girati dall’altra parte e io, raggomitolato nel caldo del mio sacco a pelo ho dato un calcio alla sorte e ho continuato a sognare fino alle 06:00 quando, dopo un breve consulto in russo con i nostri vicini, abbiamo deciso di scendere e di partire alle 09:00. Così ieri sera alle 21:00, dopo una lunga giornata fatta di dodici ore di cammino, di nebbia e di sole e di tanta neve fresca, siamo arrivati al campo base direttamente dai 6700 metri dell’ultimo campo. Le ultime due ore sono state una bella passeggiata sulla morena al chiarore della luna.
Ieri è terminato lo Snowleopard Ski Projekt e oggi mi trovo ad essere in quello stato in cui si è coscienti di questo fatto ma inconsciamente non se ne vuole ancora prenderne atto. E’ come se fossi ancora in corsa: sono qui al campo base, parlo con altri alpinisti, mangio e bevo montagna a 4400 mt e lo farò ancora per tre giorni. Non voglio credere che sia tutto finito e che non sia riuscito ad arrivare in cima a due montagne su cinque. Ne parlavamo giusto ieri io e Loscia: siamo arrivati così vicini alla cima anche di queste due… e siamo coscienti del fatto che, se le condizioni meteo ci fossero state favorevoli, saremmo arrivati in cima anche a queste due. Ma questo progetto era così: avevamo il tempo solo per un tentativo per montagna e direi che ci siamo comportati egregiamente. Potevamo rischiare sul Pobeda e rimanere bloccati a 7000 mt per quattro giorni nella tempesta, e anche qui sul Communism saremmo potuti rimanere a 6700 mt ancora per due giorni e aspettare, siamo acclimatati e il nostro fisico avrebbe potuto reggere e magari, prendendoci i nostri rischi per le valanghe, saremmo potuti andare in cima, ma la meteo, ora ha ricominciato a nevicare, e una grossa slavina che si è appena staccata di fianco alla via del Communism, ci sta dando ragione. C’è una linea sottile tra l’assumersi dei rischi per raggiungere una cima e l’assumersene di eccessivi rischiando eccessivamente la vita. E’ vero, magari questa volta ci sarebbe andata bene, ma la prossima no. Io voglio tornare su queste montagne e scalarne anche di nuove, vedere posti nuovi, conoscere gente nuova, salire e scendere con e senza sci. Rinunciare al Pobeda e al Communism quest’anno mi è costata molta fatica, ma sono convinto di avere fatto la scelta giusta. Però cavolo! Eravamo ad un passo dal farle tutte e cinque… .
Adesso è ancora presto per tirare le somme e parlare di tutte le esperienze fatte in questi due mesi, per adesso posso solo raccontare le sensazioni e i sentimenti che provo e che sono un misto di stanchezza profonda, quella stanchezza che senti nelle ossa e nella testa più che nei muscoli, e di delusione per la non realizzazione completa del progetto; ma anche ancora di eccitazione per tutte le intense esperienze vissute e la convinzione di avere trovato un amico, un piccolo amico russo dalla grande forza di volontà con cui, sono quasi sicuro, mi ritroverò per nuove montagne e avventure. Lo Snowleopard Ski Projekt comunque non è stato un fallimento. Non sono arrivato in cima a tutte e cinque le montagne, ma ne ho scalate tre in modo egregio: del pic Lenin ho disceso la parete nord con gli sci, sul Khan tengri siamo stati i primi della stagione ad arrivare in cima, il Korjenewskaja lo abbiamo scalato a tempo di record, e sul Pobeda, da soli, siamo arrivati ad un passo dalla cima. Anche il pic Communism quest’anno rimarrà inviolato: tutta la gente sulla montagna ha rinunciato lo stesso nostro giorno e sta tornando alla spicciolata al campo base. Reputo comunque di avere offerto una buona prestazione alpinistica e conto, nei prossimi anni, di portare a termine il progetto e di diventare uno “Snowleopard” come dicono da questa parti.
cheers
Cala

giovedì 8 agosto 2013

DIDASCALIE

  

 Il 31 luglio sarebbe stato il giorno della cima del tentativo di cima del Pobeda, siamo al nostro C3 a 6900, già sulla cresta che ci dovrebbe poi portare in cima. La sveglia suona alle 03:00, guardo fuori dalla tenda e non vedo le stelle, guardo meglio e non vedo proprio niente: la visibilità è azzerata e una neve sottile mi riempie la faccia tra le folate di vento. Il white out continuerà fino alle 11:30 quando d'improvviso la perturbazione passa e diventa tutto sereno, ma la comunicazione radio che Loscia, il mio compagno di avventura, ha con il campo base non lascia speranza: davanti a noi si prospettano cinque giorni di molto brutto tempo. Così facciamo lo zaino il più velocemente che possiamo e scendiam. Partiamo alle 12:00, alle 20:30 montiamo la tenda al C1, ad una quota di 4400 alla base dell'icefall. Un'altra giornata di fatica per portare a casa la pelle
Alle 11:30 il cielo si libera e dalla nostra tenda vediamo la cima del Pobeda, c'è perfino l'arcbaleno



Il 29 luglio, sopra l'icefall procediamo lentamente sulle pendici del Pobeda, apro la strada sprofondando nella neve oltre il  ginocchio. La giornata comunque è bellissima e il Khan Tengri si offre in tutto il suo splendore
I








Il Pobeda visto dalla cima del Khan Tengri

Il 28 luglio partiamo per il Pobeda, percorriamo i dodici km che separano il campo base dall'icefall in 4 ore e piazziamo la tenda

IL POBEDA

Questa mattina per la prima volta dopo circa venti giorni ho messo il mio faccione davanti ad uno specchio. Uno specchio vero intendo, non quelli piccolini che ti porti dietro e che di solito servono solo a schiacciarti i brufoli o a farti, male, la barba e che a volte, quasi sempre, si rompono.
La faccia è abbronzata, il naso bruciacchiato si sta pelando leggermente e attorno alle narici ho delle fastidiose croste dolorose provocate dal sole che si rifletteva sul ghiacciaio, il vento e il freddo respirato. La barba tagliata al mio arrivo a South Inylchek, il ghiacciao dove è posizionato il campo base del Khan Tengri e del Pobeda, sta ricrescendo sopra a delle guance scavate. I lineamenti si sono fatti più segnati, le labbra solo più leggermente gonfie dai residui di erpes che le hanno divorate nei giorni precedenti. I muscoli nelle gambe sono quasi la metà e sono anche dimagrito: l’altro ieri, indossando i pantaloni che prima stavano su da soli, ho dovuto mettere la cintura. Insomma questi giorni di alta quota hanno lasciato il segno. Adesso siamo ad Yssik Khol, il secondo lago alpino più grande del mondo e che qui in Asia Centrale è famosa meta turistica. Ci troviamo ad una quota di circa 1600 mt e ci sono 30 gradi. Il nostro volo in elicottero dal campo base del Khan Tengri e del Pobeda era previsto per l’8 agosto, ma si è presentata quella situazione per cui, fatto un primo tentativo di scalata del Pobeda e fallito ad un pelo dalla cima, tornati giù, mancavano ancora tanti giorni all’8 agosto, ma non abbastanza per un secondo tentativo. In più ci si è messo di mezzo anche il brutto tempo. Così abbiamo cercato di anticipare il volo in elicottero, e ci siamo riusciti, per fare qualche giorno sul lago a rigenerarci e ricaricarci psicologicamente per le ultime due montagne che si trovano in un altro stato, il Tajikhstan, in un’altra catena montuosa, il Pamir, 600 chilometri più a sud di qua. Potevo stare lì, a South Inyilchek, a concentrarmi sul Pobeda, Dima Griekov, il famoso capo-comandante del campo base, nonché famoso alpinista e guida russo, un pezzo d’uomo russo che ascolta musica rock ad alto volume, fuma e beve vodka e capace di realizzare alcune scalate da piolet d’or, insomma il tipico forte alpinista russo proprio come uno se lo immagina da fuori, dall’Italia. Ebbene egli ci ha consigliato di restare lì e scalare il Pobeda, che solo il Pobeda conta e probabilmente con un secondo tentativo ce l’avremmo fatta. Ma questo voleva dire rinunciare alle altre due montagne: Il Korjeneskwaja e il Communism peak. Infatti c’è un solo elicottero in Tajikhstan che fa un solo volo in agosto per trasferire gli alpinisti sul Moskvina Glacier, dove è situato il campo base comune alle due montagne. Ia mia propensione a conoscere nuovi posti mi ha portato a scegliere di andare a mettere i ramponi e gli sci sulle due nuove montagne e vedere nuovi posti e fare nuove esperienze. Il Pobeda sarà lì anche il prossimo anno e potete contarci che ci sarò anch’io. Anche Loscia (soprannome di Alexey), il mio nuovo compagno di avventura in questo snowleopard ski project, è stato d’accordo con me e insieme andremo a Moskvina! Loscia è Russo, è un ragazzo di 28 anni, basso, biondo e non beve. Neanche una birra. Lo potrei definire un ragazzo sano. Ha le sue convinzioni che porta avanti con determinazione e raramente sgarra. Ride poco. All’inizio non rideva affatto, poi col tempo e i giorni passati assieme in parete e il nostro affiatamento sempre maggiore, sono riuscito a farlo ridere. Ora ci intendiamo abbastanza e possiamo permetterci di scambiarci battute. Forse all’inizio era spaventato dal mio disordine e dal mio modo di andare in montagna da sci-alpinista punk, poi deve avere realizzato che magari tanto male non sono. Il Pobeda è stata la montagna chiave. Lì si può dire che siamo diventati amici e fratelli di sangue poiché esattamente una volta a testa ci siamo salvati la vita.
Ma veniamo a questo Pobeda: partiamo nella tarda mattinata del 28 luglio per affrontare i 12 km di morena prima e poi di ghiacciaio terminale che separano il campo base dalla base della montagna con la sua icefall. Impieghiamo all’incirca 4 ore, arriviamo la sera, montiamo la tenda, mangiamo, dormiamo.
Tutto bene. nottata piacevole, calda e senza vento. La mattina ci mettiamo in movimento per affrontare la icefall alle 8:00. Troppo tardi. La parete è già toccata dal sole che scalda immediatamente il ghiaccio e inizia a scaricare. Piccoli blocchi di ghiaccio si staccano tutto intorno a noi. Bisogna fare in fretta. Il giorno prima ha aperto traccia sempre Loscia, quindi oggi tocca a me. Ha deciso. Così affronto il primo tratto che consiste in un muro ghiacciato di cca 60 gradi. Nessun problema, piccozza in mano e sù. Il problema arriva quando attraverso la spalla e mi porto su un altro versante della parete. Qui la pendenza è la stessa ma cambia la consistenza della neve. Ora sprofondo fino alla vita e salire è un’impresa. Naturalmente prima di noi sono saliti solo due canadesi le cui tracce sono state coperte dalle nevicate dei giorni scorsi e non hanno lasciato corde fisse. Così, spostandomi un po’ di qua e un po’ di là, andando a cercare tratti ghiacciati, e facendo una grande sudata, riesco a salire fino a un camino ghiacciato, lo affronto e arrivo alla base di un enorme seracco verticale sulla destra da affrontare come passaggio obbligato. Mi armo di coraggio, sfoggio tutta la mia tecnica di progressione su ghiaccio, metto perfino una vite a metà parete, e salgo. Bisogna fare in fretta perché sta sciogliendo tutto! Supero il tratto difficile e pericoloso, preparo una sosta e faccio venire su Loscia. Siamo fuori dall’icefall. Qui inizia un lungo plateau di neve fresca fino al Diki pass. Io mi pento immediatamente di aver lasciato gli sci sotto perché troppo pesanti. Sprofondando nella neve sempre fino al ginocchio e a volte fino alla vita, sempre da primo, con enorme fatica, superiamo il Diki pass. Qui le pendenze si fanno più accentuate e dobbiamo fare lo zigo zago tra enormi crepacci. Procediamo lentamente perché la neve è sempre profonda anche se più fredda. Alle 20:00 arriviamo ad una quota di circa 6050, troviamo uno spiazzo e decidiamo di montare la tenda lì. Non siamo arrivati ai 6400 mt del campo tre come ci eravamo ripromessi ma  sono dodici ore che siamo in movimeto, siamo molto stanchi e non desideriamo altro che mangiare, bere e dormire. La giornata è stata bella, cielo terso, azzurro e poco vento. Durante le operazioni di montaggio Loscia trova una sacca bianca lasciata lì da chissachì e chissà quanti anni prima. Dentro ci sono un fornello malandato, delle bombole di gas, un chiodo da ghiaccio, delle pastiglie di magnesio che io apro e mi metto subito in bocca a secco, col risultato di creare un schiuma incontrollabile che mi esce dalle labbra e si insinua in gola bruciandola, e poi una lattina di carne di porco e una di latte condensato vecchia di vent’anni. Sull’etichetta c’è scritto che è meglio consumarla entro un anno dall’anno di fabbricazione. A me sembra esagerato, così per cena ci spariamo noodles con carne di porco e latte condensato con stagionantura 20 anni sul Pobeda. Attendo con terrore gli effetti sul mio stomaco che per fortuna non arrivano. La mattina sono regolare come al solito.
La notte passa tranquilla, la mattina ci svegliamo alle sei e facciamo colazione a base di porridge. Abbiamo trovato un alimento che ci ha messo d’accordo: non piace a nessuno dei due, ma condito con una buona dose di cioccolata calda in polvere, ancora retaggio del Barzar, non è malaccio.
Partiamo di nuovo verso le 8:00 e sta volta facciamo solo 6 ore di scalata. Oggi è più tecnica: tratti di neve a placche e non, misti a tratti più ghiacciati si alternano a tratti su roccia fino al grado di 5a. Ci sono delle vecchie corde fisse con le quali, quando possibile, mi aiuto a piene mani. Non usiamo la jumar. La scalata sarebbe anche piacevole se non fosse per il vento forte che ti sferza da destra e per lo zaino il cui peso diventa sempre più insopportabile. Il vento mi costringe a indossare i moffoloni d’alta quota. Faticosamente arriviamo così alla quota di 6900 metri, dove inizia la cresta sommitale che ti porta poi alla cima. Siamo al C4, per noi il C3. Guardando verso la cima abbiamo alla nostra destra la Cina e alla nostra sinistra il Kirghistan. Nonostante la fatica e la stanchezza siamo felici di essere arrivati lì così velocemente. Dopo una breve discussione in cui Loscia vuole scavare una truna nella neve e io voglio montare la tenda, iniziamo a scavare la truna, ma io lo convinco quasi subito a montare la tenda, così ci buttiamo dentro la mia bella tenda monotelo a due posti. Siamo tutti e due molto stanchi , sciogliamo neve, facciamo tanta acqua e ci mettiamo a dormire alle 18:00 perché la sveglia sarà alle 3:00 per prepararci e partire verso le 5:00 per l’attacco alla vetta. 
Siamo carichi e, almeno da parte mia, non vedo l’ora che arrivi l’indomani per partire alla volta della cima. Le tre arrivano, la sveglia suona, io guardo fuori e ricevo la brutta sorpresa: apro la tenda e vengo investito da un leggero nevischio, guardo bene e non vedo le stelle, guardo meglio e proprio non vedo a due metri di distanza. Visuale azzerata e perturbazione in arrivo, impossibile partire. Posticipiamo la sveglia alle 4:00 e situazione invariata, alle 5:00 idem, così di ora in ora fino alle 8:00, quando, con il perdurare della situazione, decidiamo di scavare sta benedetta truna. Lavoriamo sodo per tre ore e quasi finiamo la truna quando tutti e due abbiamo troppo freddo ai piedi e ci buttiamo in tenda a scaldarli. Come per magia alle 11:30 il cielo diventa limpido e noi ci domandiamo cosa fare.
 Loscia ha un collegamento radio col campo base in cui io riconosco solo la parola ciclon. Niente da fare. Davanti a noi si prospettano cinque giorni di una grossa perturbazione. L’unica cosa da fare è di prendere tutte le nostre cose e scendere il più velocemente possibile. Che rabbia, la punta era così vicina… . Vabbè riportiamo a casa la pellaccia. Partiamo a mezzogiorno e alle 20:30, stanchi morti, ma proprio stanchi morti arriviamo al C1 alla base del ghiacciaio. 
Adesso sono qui ad Yssik Khol, ho appena scritto queste righe e, ripensando a quei momenti, il sentimento che provo è di rammarico. Rammarico perché il Pobeda è proprio una montagnona difficile e faticosa. Non è detto che il giorno dopo, senza il ciclon in arrivo, saremmo arrivati comunque in cima, ma avevamo ottime probabilità. Ora bisognerà rifare tutto da capo. Adesso mi devo concentrare sulle altre ultime due montagne. O meglio adesso per ancora due giorni non mi devo concentrare affatto, stiamo mangiando una quantità di frutta incredibile, stiamo nuotando nel lago e sta mattina ho anche fatto una corsa di un’ora e mezza dopo non so quanto tempo. Ovviamente sto rigenerando anche le riserve di birra… . Per ancora due giorni non devo pensare alle montagne, poi l’8 agosto torneremo a Bishkek e lì si ricomincerà di nuovo. Il 9 è dedicato all’organizzazione e preparazione e il 10 si vola a Dushanbe, la capitale del Tajikstan, poi l’11 in elicottero fino al Moskvina Glacier e la nostra intenzione è quella di scendere dall’elicottero e di recarci subito al C1 del Communism Peak perché avremo solo 15 giorni di tempo per scalare le due montagne.
Il progetto snowleopard continua, anche se ha subito un duro colpo con la mancata cima del Pobeda, potete giurarci che il prossimo anno, se riusciremo a scalare ora le ultime due montagne, saro’ di nuovo lì, alla base del Pobeda.
CALA 

giovedì 25 luglio 2013

SECONDA STELLETTA

Anche il Khan Tengri è stato conquistato!
Cala ha raggiunto la vetta a 7010m slm questa mattina alle 11:20 circa.
Dalle sue parole si sente l'emozione per essere stato il primo ad arrivare in cima in questa stagione....ma anche tanta fatica.
Le condizioni erano infatti molto difficili....tanta neve, traccia da battere, carichi da portare e nessuna corda fissa ad attrezzare la montagna nei passaggi più tecnici. Quella di oggi, cominciata con la partenza alle 5:00 dal C4 a circa 6400m è stata la giornata conclusiva dell'assedio cominciato il 20 luglio, Cala ora si trova al Campo Base per riposare qualche giorno e decidere se affrontare o meno il Pobeda Peak che fa veramente paura

Alle prossime notizie
Kuba

venerdì 19 luglio 2013

E UNO

Buongiorno a tutti,

Nella mattinata di sabato 13 luglio, Cala ha raggiunto la vetta del Peak Lenin, 7134m slm.
È arrivato in cima alle 11 circa, partendo dal C3 che aveva raggiunto il giorno precedente.
La disesa è avvenuta come da programma sciando la parete Nord.
I commenti di Cala raggiunto telefonicamente al C1: tutto è andato per il meglio, la parete non era perfetta, ma si è lasciata dominare. Sono molto stanco, la salita è stata faticosa per via del carico da portare e del vento molto forte.
Nei giorni successivi Cala e Alberto si sono occupati di smantellare i campi 1 e 2, si sono goduti la sauna al Campo Base e sono riusciti a "sloggiare" con un giorno di anticipo, infatti, dopo aver recuperato il materiale del C1, si sono immediatamente imbarcati sul bus per Osh....
Ieri (18 luglio) i ragazzi hanno raggiunto il Campo Base del Khan Tengri e del Pobeda Peak....
Nei prossimi giorni si comincia l'assedio al Khan Tengri 7010m, la meno elevata delle cinque cime....ma da sms diCala, "il Pobeda fa paura...."

Appena avrò nuove news aggiornerò il blog,

Kuba

lunedì 1 luglio 2013

SI COMINCIA

L'avventura Snowleopard Ski Project entra finalmente nel vivo....
Cala e Alberto sono arrivati oggi al Campo Base del Lenin Peak, la prima delle cinque vette che i nostri si accingono a scalare.

Qualche notizia sulle ultime settimane di viaggio:
prima di arrivare a Bishkek qualche giorno fa, i ragazzi hanno avuto modo di esplorare i primi rilievi incontrati sul percorso.
Infatti lungo il tragitto, si sono addentrati nel Parco Dzabagli, dove, accompagnati da una guida hanno effettuato una escursione.
Il giorno successivo, la tentazione di poter sciare le prime lingue di neve era fortissima e quindi sci a spalle hanno raggiunto un pendio sciabile....peccato che in questo parco si possa fare escursioni esclusivamente accompagnati da una guida, percui, intercettati da un ranger, si sono presi una bella strigliata. Solo la diplomazia di cui Cala è capace li ha salvati da una bella multa!
Una volta a Bishkek, si sono diretti al lago Yssyk Khol, bellissimo, e selvaggio. Circondato da una corona di vette alte oltre i 4000m, alle quali però, con grande dispiacere bisogna rinunciare....bisogna partire per il Lenin Peak. Infatti stamattina dopo un volo per Osh e un trasferimento in elicottero(che ha salvato le natiche dei due per un bel po' di km) si è cominciato a familiarizzare con il BC(base camp).
Vuoi non metterci anche un primo avvicinamento? E così dai 3800 del campo, Cala e Alberto sono partiti alla volta del Campo 1(C1). Si sono fermati ad un colle a 4300m di quota, poi temporale con grandine mista a neve li ha ripiegati alla base.
Ma domani si comincia a fare sul serio....ascesa al C1 a 4200m e allestimento del campo che sarà la vera base della prima scalata. Notte in tenda lassù e Mercoledì ė previsto l'allestimento del C2 e rientro o al BC o al C1...dipenderà dal meteo.

Bene, per ora è tutto, fuoco alle polveri!!!!

Kuba

lunedì 10 giugno 2013

RICORDI DI VIAGGIO

ciao a tutti,
eccomi di nuovo da voi. Sono passati dieci giorni da quando lo Snowleopard ski project è iniziato e a me sembra già tantissimo. Girandomi indietro vedo un gran numero di esperienze fatte e dieci giorni vissuti con grande intensità e voglia di conoscere. Il mio compagno di viaggio, mio fratello, è stato grande. Posso dire che ci siamo un po' come ritrovati. In realtà non ci siamo mai persi come fratelli, ma le nostre vite ci portano a trascorrere sempre meno tempo insieme e questo viaggio è stato una bella scusa anche per stare un po' insieme.
Comunque possiamo dire di avere raggiunto il primo terzo di viaggio di andata per Bishkek. Abbiamo percorso 2500 km, abbiamo attraversato nell'ordine Slovenia, Croazia, Serbia, Romania, Moldavia, Ucraina, e siamo, l'altro ieri, approdati ad Odessa. Questa mattina all'alba mio fratello ha preso il volo per tornare alla sua vita, mentre io continuerò a viaggiare ancora per circa quattro mesi.
Dicevo che guardandomi indietro vedo già un sacco di esperienze ed episodi. Ora ve ne voglio raccontare alcuni, cosi', in maniera casuale, come giungono alla mia memoria:
la caduta rovinosa di Ale che è ruzzolato a terra correndo, atterrando dopo un salto per farsi scattare una fotografia e facendosi male alla spalla. Nulla di grave, ma un male fasidioso gli terrà compagnia per tutto il viaggio, e poi ora ha anche aggiornato la sua copertina di facebook:-); La bella impressione che mi ha fatto Lubiana e la Slovienia tutta, e il triplice ponte di Plecnic; La cena in Slovenia, quando dapprima veniamo colti da un bell'acquazzone in piena preparazione, e poi arriva anche la polizia, probabilmente chiamata dalle case vicine, a farci sloggiare; le varie corse sul Danubio, ognuna in uno stato diverso dall'altro, e poi la visita alla casa galleggiante. Il passaggio della frontiera Romania-Ucraina, dove ci hanno controllato tutti i bagagli di Ringo (il mio furgone) uno ad uno, riuscendo finalmente a passare alle due di notte lasciando per la strada solo un moschettone. Le lattine di birra più una di vino dimenticate sul tetto del furgone alla partenza da Tarvisio che alla prima frenata ci hanno superato cadendo rovinosamente a terra. L'arrivo sul Mar Nero a Costanza con la prima passeggiata notturna sulla spiaggia a Mamaia, zona balneare di Costanza. La scalinata di Odessa dove hanno girato la corazzata Potemkin; il museo d'arte contemporaneo di Zagabria, un museone! Il traghetto provato a bypassare per una strada alternativa ma che alla fine abbiamo dovuto prendere per arrivare a Galati in Romania e che abbiamo pagato venti euro per 5' di navigazione, poichè avevamo spesso tutti i Lei che ci rimanevano in gasolio perchè pensavamo che non ci servissero più.
Ok per questa sera non vi tedio più con i ricordi. Oggi, lasciato mio fratello, mi sono diretto verso una cittadina una quarantina di chilometri a nord di Odessa dove ho trovato una bella spiaggia a pagamento (2 euro per tutta la giornata) e qui ho potuto lavorare tutto il giorno per riorganizzare Ringo, lavare a fondo le stoviglie e i panni sporchi. Poi rifornimento d'acqua e ritorno ad Odessa. Sono stato anche fermato dalla polizia che voleva farmi 510 grivne (51 €) di multa perchè procedevo sulla destra nella corsia dei bus... . Ma io cosa ne sapevo? la linea gialla era sbiadita e io andavo tutto a destra per andare piano  e non intralciare il traffico. Comunque alla fine la mia tattica di fare un po' il finto tonto e un po' (tanto) supplicare con occhioni languidi praticamente in ginocchio, ha funzionato. Mi hanno lasciato andare... . Non ci credevo neanch'io... .

 Il museo d'arte contemporanea di Zagabria. Un museone!
 Le corse sul Danubio
 Il risveglio a Costanza-Mamaia, in riva al Mar Nero

 Colazione a  Mamaia
 Il traghetto da 20€
 Stazione di servizio in Ucraina
 Rivisitazione della corazzata Ptemkin
 I fratelli Cimenti a Odessa
 Riposo a Zatoka, a sud di Odessa

 Partenza all'alba in un aeroporto deserto
 Riorganizzazione furgone e lavaggio panni

 Odessa questa sera. Atmosfera bellissima ed io solo a passeggiare in riva al Mare Nero

sabato 8 giugno 2013

PERCHE' UNA SPEDIZIONE COMINCIA SEMPRE DA UN VIAGGIO









in attesa di ricevere un formato pubblicabile dei primi video di Cala ed Alessandro, rubo qualche foto dei momenti di "viaggio" dalla pagina Facebook ufficiale www.facebook.com/pages/Snowleopard-Ski-Project

ODESSA...

Ciao a tutti!

Cala ed Ale sono giunti oggi ad Odessa, Ucraina.
è la prima vera tappa del viaggio, dato che si fermeranno li un paio di giorni, e, dato che è la prima tappa in un paese decisamente distante dall'Italia, e non dico solo geograficamente.
Infatti, l'ingresso nella ex Unione Sovietica è avvenuto dopo un "accurato" controllo di Ringo, che è stato letteralmente rivoltato come un calzino in frontiera, ma fortunatamente i nostri non contrabbandavano niente(strano che i gendarmi lo possano aver pensato...) e i visti d'ingresso sono stati rilasciati. Si, certo, è cotata cara questa operazione, un moschettone, un preziosissimo moschettone è stato "omaggiato" ai custodi del confine. Meglio così.
Nei prossimi giorni, visiteranno la città e si riposeranno un po', sempre che riescano ad orientarsi e a farsi capire, oramai tutto è scritto in cirilico! ovviamente non mancheranno momenti di allenamento di corsa e qualche tuffo nel Mar Nero
Dopo questa tappa i fratellini Cimenti si divideranno: Alessandro rientrerà via aria in Italia, e, ad affiancare Cala nella fase successiva sarà Alberto, amico, compagno di allenamenti e socio di lavoro....dai ragazzi, la strada per Bishkek è ancora lunga...

Kuba

giovedì 6 giugno 2013


Buongiorno a tutti!

Dopo aver visitato, Martedì, Zagabria e il suo museo d'arte contemporanea (non rinunciando però ad una corsetta serale sotto la pioggia), Cala e Alessandro  hanno passato, ieri, una giornata a Belgrado e si sono dedicati , sfruttando il primo sole incontrato da quando sono partiti, ad un allenamento di corsa lungo le sponde del Danubio.

Ora sono in viaggio verso Costanza, hanno da poco passato Bucarest e pare che, proprio in questo momento, si stiano godendo un pranzetto sotto il caldo sole della Romania.


Per tutti gli amici di Facebook, seguiteli e mettete i vosti like sul pagina ufficiale dello Snowleopard Ski Project :






pochi minuti fa è stato anche postato un video molto divertente della fraterna coppia Artista/Architetto, guardatelo.



mercoledì 5 giugno 2013

Ciao a tutti,

Cala e Alessandro oggi ripartono da qui:

http://www.findmespot.com/mylocation/?id=CKErP


Buona giornata ragazzi.






martedì 4 giugno 2013

QUALCHE IMMAGINE: BRAINSTORMING
















SI PROSEGUE

oggi Cala ed Alessandro hanno fatto tappa a Zagabria.
un viaggio che si rispetti deve prevedere anche mete culturali che si rispettino.
Così oltre alla visita alla città, i due si sono concessi anche una visita al Museo di Arte Contemporanea.
non solo fatica...

ciao a tutti,
Giacomo

lunedì 3 giugno 2013

SLOVENIA!!!!

ciao a tutti!

Cala si trova in Slovenia, pernotteranno nei pressi della frontiera.
due righe su questi primi giorni di viaggio....
dopo la gara a Ceriale, dove ha dimostrato molto fair play nell'affrontare l'evento solidale di Find the Cure, e la consegna di adesivi e bandiera, Cala si è diretto a Tortona per recuperare suo fratello Alessandro. da li, dritti a Milano e poi Malpensa dove l'amico Simone La Terra ha riportato a Cala il telefono satellitare.
pronti, via, direzione est.....Tarvisio. piccolo allenamento e cena fredda prima di testare Ringo(il furgone blu) per la notte.
e poi,stamattina,  ciao ciao Italia, ci si vede tra quattro mesi!

cercherò di essere il più puntuale possibile nel dare aggiornamenti sul blog.

tra le tante diavolerie elettroniche che Cala ha con se, c'è uno Spot, un localizzatore gps. il "coso" in questione trasmette direttamente la posizione sulla pagina di Snowleopard ski project, così che possiate seguire il suo percorso.

a presto,
Giacomo

domenica 2 giugno 2013

km in furgone e telefoni satellitari

Ciao amici,
scusate se non mi sono ancora fatto vivo, ma questi ultimi giorni prima della partenza sono stat frenetici e non ho proprio trovato il tempo per scrivere. Per fortuna che ci sono amici come Giacomo che contribuiscono a tenere vivo il blog e il vostro interesse per questo viaggio che sono sicuro sara' denso di emozioni ed esperienze tutte da raccontare e da provare a farvi vivere insieme a me.
Tanto per cominciare oggi e' stato il primo vero giorno di viaggio ed e' passato senza un attimo di respiro. E' cominciato alle 5:00 del mattino quando mio fratello ed io ci siamo svegliati a Milano e abbiamo dovuto raggiungere l'aeroporto Malpensa per recuperare il mio telefono satellitare che mi ero dimenticato a Kathmandu e che il mio amico Simone La Terra di ritorno dal Dhaulagiri mi ha riportato. Poi abbiamo proseguito in direzione Tarvisio-frontiera slovena dove siamo arrivati alle 19:00 pronti per calzare le scarpe da corsa ed andare ad allenarci. Comunque non e' di questo che vi volevo parlare questa sera ma di un fatto tecnico: IL TELEFONO SATELLITARE. Come gia' saprete il mio nuovo numero di satellitare è: 008821650315994. Siete pregati di tenermi compagnia con un sacco di sms. Da quest'anno poi, sembra che ci sia la possibilita' di parlare o inviare sms ad un numero italiano collegato con il mio numero di satellitare. Non ci ho capito tanto neanche io, però il numero è il seguente: +39 3199016911. Potete provare a telefonare o messaggiare anche su questo numero sembra con un notevole risparmio. C'è poi sempre la possibilità di inviare sms gratuiti dal sito www.thuraya.com.
Di seguito  la descrizione presa dal sito Thuraya:
Twin Number è una numerazione italiana per servizi mobili di tipo specializzato che viene assegnata gratuitamente solo ai Clienti Thuraya di Intermatica, in associazione al proprio numero satellitare.

Al momento dell'attivazione della SIM Thuraya, il Cliente riceve due numerazioni, una Satellitare con prefisso +88 216 ed una Nazionale Intermatica con prefisso +39 319.

Il Cliente può essere raggiunto sul proprio telefono satellitare sia tramite la numerazione Thuraya che quella Twin Number: attraverso Twin Number la chiamata viene trasferita al numero Thuraya, senza costi aggiuntivi per il Cliente.

Twin Number è una soluzione concreta per ridurre i costi e per evitare i blocchi predisposti da alcuni operatori, che non consentono le chiamate verso i numeri satellitari.

Twin Number, un’esclusiva Intermatica.

ciao ciao domani si passa la frontieraaaaaaaaaa
Cala 

giovedì 23 maggio 2013

LA NUOVA AVVENTURA

Ci siamo, cmenblogexperience si anima nuovamente come come ogni volta che una partenza per un'avventura diventa imminente. Per questa sfida l'amico Cala si è affidato a me per postare, man mano che ci saranno, le notizie circa i suoi spostamenti, il viaggio, le ricognizioni e , ovviamente le scalate alle vette. Mi presento, sono Giacomo, conosciuto già da qualcuno come Kuba. Seguirò Cala da Pragelato cercando di riportare fedelmente le novità che mi arriveranno. Tra noi comunicheremo quasi esclusivamente via satellitare, quindi le notizie mi arriveranno stringate...vedremo di averne tante per rendere avvincente questo viaggio. Cala è pronto, ha concluso in maniera positiva la stagione agonistica di scialpinismo e ha già corso qualche gara di trail per "rifinire" la condizione. La forma è ottima, la determinazione è la solita, quella alla quale siamo abituati, sempre positivo e coinvolgente, l'itinerario già confermato da mesi e il furgone blu, battezzato Ringo è allestito. Mancano 9 giorni alla partenza, fissata per il 1 giugno. Visto che la spedizione prevede un avvicinamento in autonomia su "gomma" Cala ha deciso di delocalizzare la partenza, non da Pragelato sulle Alpi torinesi, bensì dal mare di Ceriale(SV), dove parteciperà con il suo caratteristico entusiasmo alla Ceriale Coast Run, una corsa di 10km organizzata a scopo umanitario da Find The Cure, comitato no profit di sostegno ad aree a basso livello di sviluppo. Dopo la gara, accompagnato da suo fratello Alessandro, prenderà la via dell'Est, prevedendo l'arrivo a Odessa per il 10. Da li proseguirà solo, e affronterà giorno per giorno le possibilità di effettuare allenamenti e scalate. Una volta giunto a Bishkek verrà raggiunto dall'amico Alberto che lo affiancherà nella spedizione vera e propria: l'ascensione alle 5 vette di oltre 7000m di quota del Pamir e dello TienShan, Lenin Peak,Khan Tengri, Pobeda Peak, Communism Peak e Korjenevskaya Peak. A chi scala queste vette viene riconosciuta l'onoreficienza SNOW LEOPARD. il progetto di Cala è ambizioso, scalarle nell'arco di una sola stagione estiva utilizzando il più possibile gli sci. Quindi, amici di Cala, forza, facciamogli un grande in Bocca al Lupo e un grande abbraccio! a presto, Kuba